La minore disponibilità di risorse in Sanità oggi ha spinto sempre più a lavorare sui margini di recupero. La lotta agli sprechi e l’appropriatezza delle prestazioni sono oggi l’unica strada per evitare di alterare la qualità dei servizi. La difficoltà a coniugare sanità ed economia, richiede però il coinvolgimento dei veri protagonisti per il successo di questo lavoro meticoloso.
Eppure, le misure contenute nel decreto spending review prevedono una riduzione dei costi sanitari soprattutto nei segue ti capitoli di spesa: condizioni di acquisto e fornitura di beni e servizi; spesa per farmaci; spesa per dispositivi medici; acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati. Si configura pertanto un approccio verticistico di tipo top-down. Tale processo decisionale esclude di fatto la partecipazione degli operatori sanitari e ha incrementato una distanza peraltro già considerevole tra chi decide e chi invece vive e opera la corsia ospedaliera quotidianamente.
Poichè le scelte pubbliche possano non rispecchiare la volontà generale nel caso in cui non prevedano un approccio inclusivo (caratterizzato dal confronto e dalla deliberazione tra tutti gli attori), si può a valle provare a recuperare la strada della razionalizzazione attraverso l’inclusione del pensiero e della competenza dei professionisti sanitari.
Un esempio di questo tentativo è rappresentato dal progetto di «costruzione del consenso sull’applicazione delle buone pratiche per i servizi domiciliari in ematologia».
Il progetto nato dalla collaborazione tra l'Associazione Italianacontrol le Leucemie (Ail) nazionale e la Fondazione Istud ha come obiettivo quello di armonizzare su scala nazionale i processi che definiscono i percorsi assistenziali dei pazienti oncoematologici attraverso un percorso di costruzione del consenso per i professionisti sanitari nei servizi domiciliari.
Hanno partecipato 80 professionisti provenienti da 39 sezioni Ail. Sono state analizzate, in un contesto multidisciplinare, le attività cliniche e organizzative con le loro criticità che ruotano attorno al paziente ematologico curato a domicilio, portando alla formulazione di percorsi di cura e di ipotesi di miglioramento condivise. Molto interessante il processo di consenso utilizzato che procede in modo iterativo, applicando spunti della metodologia del “Delphi Panel”. Tale metodologia è usata per ottenere risposte ad un problema da un gruppo (panel) di esperti indipendenti attraverso due o tre round, è nota a chi redige linee guida scientifiche tratte dalla medicina Evidence Based Medicine, è invece meno utilizzata da chi si occupa di organizzare i processi di cura.
I risultati del progetto sono stati presentati durante un incontro con tutte le sezioni Ail.
Il consenso ottenuto non deriva dall'omologazione, ma rappresenta una vera assimilazione del comportamento nell’agire professionale.
Ovvero la difficoltà di una differente presa in carico. Bisogna infatti ricordare che la presa in carico globale del malato, fin dall’inizio del percorso terapeutico, prevede un approccio multidisciplinare e multidimensionale sostenuto da un’organizzazione dipartimentale delle attività, che garantisca da un lato, il miglior trattamento (in termini di qualità, di tempi, e di coordinamento degli interventi), e dall’altro un precoce riconoscimento di eventuali altri bisogni (fisici, funzionali, psicologici, spirituali, sociali e riabilitativi) del malato.
I risultati del progetto hanno dimostrato che in alcuni casi la decisione di assistere un paziente a domicilio non viene condivisa tra il medico ematologo ospedaliero e il medico coordinatore delle cure domiciliari, che interviene quando la proposta assistenziale è già stata proposta al paziente e alla famiglia. Altre sezioni hanno seguito una procedura ben strutturata: la richiesta può essere inviata dalla struttura di degenza, dal day hospital o dall’ambulatorio ospedaliero alla luce di determinati requisiti (presenza di un caregiver idoneo; verifica dell’ambiente sociale/abitativo).
L'identificazione e la risoluzione del processo della presa in carico non può prescindere dal coinvolgimento del centro di ematologia di riferimento, che dovrebbe avere al suo interno almeno un referente medico per le cure domiciliari, con il compito di definire una politica interna per l’utilizzo di tale regime assistenziale, indicando i limiti di accesso dei pazienti alla domiciliarizzazione, stabilendo con i membri dell’équipe domiciliare il programma individuale del paziente.
Sviluppare iniziative che seguono metodologie , che partendo dal basso (tipo bottom-up) coinvolgano tutti gli attori della filiera salute, certamente è impegnativo nel tempo e richiede fatica e maturità per un’autoanalisi dei propri comportamenti professionali, ma può essere la soluzione per far sì che la riorganizzazione peraltro necessaria del servizio sanitario non sia eseguita soltanto come una serie di interventi imposti ma diventi un’opportunità di applicazione di ragione e sentimento da parte di chi vi opera tutti i giorni.