L'immigrazione in Italia è un fenomeno relativamente recente, che ha raggiunginto dimensioni significative all'incirca nei primi anni del XXI secolo. Nel 2010 l'Italia era il quarto Paese europeo per numero assoluto di stranieri residenti, dopo Germania (7,1 milioni), Spagna (5,7 milioni) e Regno Unito (4,4 milioni). In termini percentuali, tuttavia, si colloca solo decima con 4.570.317 peresenze secondo i dati ISTAT del 2010. Se consideriamo i dati della città e provincia di Como si evidenzia la fotografia al 2011 dimostra la presenza di 47.271 stranieri di cui 23.069 maschi e 24.202 femmine. Tenendo conto che la popolazione totale è di 594.988 abitanti risulta evidente che l'immigrazione sia uno dei fenomeni sociali mondiali più problematici e controversi, dal punto di vista delle cause e delle conseguenze.
In particolare i dati sull'utilizzo dei servizi sanitari da parte degli immigrati in Italia sono piuttosto scarsi, ma le ricerche suggeriscono che gli stranieri incontrano numerosi ostacoli nell'accedere alle cure sanitarie. Ciò avviene in particolar modo per i programmi di prevenzione. Usufruire di cure sanitarie adeguate costituisce un problema per le barriere giuridiche che incontra chi richiede la cittadinanza e soprattutto, per gli immigrati senza documenti. Gli ostacoli culturali non sono meno rilevanti: la gestione del momento assistenziale può essere critica in ragione delle differenze linguistiche e culturali, mentre per alcune donne immigrate è la mancanza di medici di sesso femminile a determinare il mancato accesso alle cure sanitarie. Inoltre l'antropologia medica ha dimostrato che le categorie e i concetti utilizzati dagli immigrati per spiegare i propri problemi di salute differiscono significativamente da quelli di matrice occidentale. Le istituzioni sanitarie identificano gli immigrati come soggetti particolarmente a rischio di esclusione sociale e conseguentemente, di marginalizzazione nell'accesso ai servizi sanitari.
Tuttavia, nonostante l'acquisizione di tale consapevolezza, la definizione degli elementi che concorrono alla determinazione di queste condizioni non è del tutto chiara, a causa della molteplicità e della concomitanza dei fattori che entrano in gioco. In particolare, partendo dalle considerazioni emerse nelle analisi del fenomeno, risulta difficile individuare suggerimenti orientati al superamento delle problematiche a livello locale e nazionale, che possano tradursi in policies sostenibili e contemporaneamente efficaci su tutte le sfere considerate. Tra le problematiche sanitarie di recente interesse ricordiamo il problema dell'oncologia. Tra i primi studi più completi sull'argomento ricordiamo la presentazione del 2008 nella provincia di Modena di Carlo Alberto Goldoni che ha esaminato il problema oncologico nella popolazione di Modena che ha evidenziato come il problema abbia radici profonde. Lo stile di vita condotto fino ai 20 anni dice di più del patrimonio genetico quanto al rischio di ammalarsi di cancro. Ambiente, abitudini alimentari, fumo: sono alcuni dei fattori, riassumibili come “stile di vita”, e che sono determinanti, nei primi 20 anni d'eta' piu', più dei fattori genetici. A dimostrarlo sono due studi svedesi, sull'International Journal of Cancer, condotti su due generazioni di immigrati, una nata in Svezia e l'altra giunta nel paese nordeuropeo già ventenne. Per i dati i ricercatori hanno attinto allo Swedish Family Cancer Database, che contiene informazioni su tutte le persone nate in Svezia dopo il 1931 e i loro genitori. L'indagine è stata condotta su 600.000 immigrati, arrivati in Svezia appena ventenni. I dati dimostrano che il rischio per gli immigrati di ammalarsi di cancro è paragonabile a quello corso dalla popolazione nei popolazione nei Paesi d'origine, segno che il trasferirsi in Svezia non ha loro giovato essendo arrivati già a venti anni. Per i figli degli immigrati,invece, essendo nati in Svezia il pericolo di tumore e l'incidenza sono simili a quelli degli svedesi doc. Lo ha rilevato il secondo studio, condotto su 600mila stranieri provenienti da Europa e Nord America. Da quanto emerso dai dati esposti dai ricercatori, persone nate e vissute in Paesi differenti, hanno un diverso profilo di rischio. Ma queste differenze si assottigliano, fino a scomparire, nell'arco di una generazione, dimostrando il ruolo esercitato dall'ambiente nell'insorgenza della malattia. A fare la differenza sono abitudini e comportamenti prima dei 20 anni e tra queste soprattutto il fumo. Fra le persone coinvolte nello studio, il rischio di tumore del polmone e' minore per la seconda generazione di immigrati che ha acquisito una buona abitudine degli svedesi: fumano meno di altre popolazioni. Altra abitudine rilevante è quella relativa alla alimentazione: la possibilita' di essere colpiti da un cancro dello stomaco è ridotta, per gli immigrati cresciuti in Svezia, da una dieta piu' sana, dal minor consumo di sale e da un maggior apporto di vitamine. Questo dimostra come la problematica oncologica nella popolazione immigrata stia diventando sempre più un problema concreto.
A questo proposito si inserisce un problema concreto legato all'accesso del sistema sanitario. L‘Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) ha recentemente lanciato un allarme. Gli immigrati in Italia sono curati peggio degli italiani. Ad essere sotto accusa è soprattutto il ritardo diagnostico, per il quale un immigrato in media ha un ritardo di 12 mesi sulla diagnosi. Non accedono agli screening (collo dell’utero, mammella, colon retto), non hanno accesso alle campagne di dissuasione dal fumo, spesso vengono da paesi in cui è endemica l’epatite B, con le sue conseguenze di cirrosi e carcinoma epatico. In Italia come abbiamo ricordato gli immigrati sono 4.570.317: il 7,5% della popolazione, 335mila in più rispetto al 2010. Una popolazione in rapida crescita e necessariamente bisognosa di attenzioni e cure. Cosa che purtroppo raramente trova la giusta concretizzazione. L’orario di lavoro spesso impedisce loro di recarsi negli ambulatori aperti solo le mattine dei giorni feriali, con loro i datori di lavoro sono spesso intolleranti. Per le badanti accedere a un progetto di prevenzione è spesso impossibile e aspettano anche se hanno disturbi, fino a quando il tumore è in fase avanzata. Spesso non conoscono i servizi pubblici che possono aiutarli e non hanno soldi per rivolgersi alle strutture private. Il lavoro di AIOM era partito da lontano quando nel 2010 a Verona, si era aperto il convegno interregionale dal titolo “Diversità in oncologia” a cui partecipano più di 80 esperti. Il convegno aveva dimostrato che in Veneto ogni anno si ammalavano di cancro circa 32.000 persone e il 20% dei residenti era rappresentato da popolazione straniera. Per superare le barriere, non solo linguistiche, che rendono difficile la cura di queste persone, si era posta l'attenzione sulla necessità di creare una rete di sostegno che coinvolgesse le Istituzioni. “Vogliamo approfondire alcuni temi che creano diversità in oncologia – spiegava la prof.ssa Annamaria Molino, direttore dell’Oncologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e coordinatore dell’AIOM Veneto -. Un fenomeno in costante crescita è rappresentato dalla migrazione interna da una Regione all’altra del nostro Paese, che lascia i pazienti disorientati ed è dovuto a diversa accessibilità ai farmaci nelle diverse Regioni”. Durante il convegno si parlò anche dell’impatto causato dalle differenze linguistiche, culturali e religiose. “Ogni giorno – continuava la prof.ssa Molino - ci confrontiamo con le problematiche connesse alla multietnicità dei nostri pazienti. Dobbiamo affrontare patologie diverse che un tempo neppure conoscevamo. Non solo. In alcuni casi gli stranieri hanno paura a recarsi in ospedale perché clandestini. Con la conseguenza che il tumore viene diagnosticato quando è in fase avanzata”. Inoltre manca talvolta il supporto a casa perché sono soli di fronte alla malattia. Il ruolo del mediatore culturale diventa quindi essenziale. “L’oncologia interraziale - conclude la prof.ssa Molino - avrà un peso sempre maggiore vista la consistenza delle ondate migratorie che interessano il nostro Paese”. Da allora non è passato molto tempo che AIOM ha attivato il primo progetto nazionale multietnico al via dal 4 di novembre 2011 con una proposta, dal titolo ”Problematiche oncologiche nei migranti: dall’emergenza alla gestione”. Questo progetto farà sì che vi siano sul sito AIOM siano presenti contenuti accessibili per gli immigrati per quello che riguarda la prevenzione e la diagnosi precoce, è prevista la stampa di opuscoli in più lingue, e attenzioni particolari per i minorenni. E' evidente che alla luce dei recenti sconvolgimenti economico finanziari mondiali la sanità pubblica sarà oggetto di continui tagli. Questo potrebbe comportare un rischio per la tutela dei diritti al quale si sostituirà sostituira la carità, come già spesso accade ma intesa in senso più ampio fino al concetto moderno di caregiver.
Questo potrebbe comportare delle innegabili distorsioni del sistema: gli immigrati si metteranno in fila in strutture che si fregeranno del titolo “per i poveri”, insieme agli italiani, appunto, poveri, che cercheranno di farsi visitare. Per gli altri sanità privata o sanità pubblica che allora potrebbere essere in gran parte inefficiente. Per evitare questo scenario parte della soluzione parte da lontano e si riassume in un'unica parola: prevenzione. “Dobbiamo insistere sulla prevenzione, in particolare attraverso il coinvolgimento delle seconde generazioni” – dice il prof. Marco Venturini, presidente entrante AIOM -. Si tratta di cittadini che parlano la nostra lingua, crescono in Italia, fanno da tramite per la traduzione, la comunicazione, l’informazione ai genitori e rappresentano una risorsa insostituibile come fautori del cambiamento culturale all’interno del nucleo familiare”. AIOM ha inoltre attivato un confronto aperto con le Istituzioni su questo tema. “Definito il sistema di protezione sanitaria dei migranti, è necessario verificare se l’offerta dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) dell’oncologia sia adeguata a questa specifica domanda – spiega il Coordinatore degli Assessori della Sanità della Conferenza Stato-Regioni, Luca Coletto, relatore al seminario -.