Costruire un’idea per istruire una coscienza oncologica: otto anni fa attorno a questo principio, nasceva un nuovo modello di fare oncologia, esportato direttamente dall’istituto nazionale dei tumori di Milano dove ho lavorato per oltre 10 anni, all’ospedale Valduce che mi vede primario di chirurgia generale.
I tumori fanno paura, ma oggi i numeri ci spaventano meno: l’anno scorso si è registrata una riduzione dei nuovi casi con l’aumentato soprattutto della sopravvivenza, e questo vale sia per la cittadinanza maschile che femminile. Tre milioni e mezzo i cittadini con questa diagnosi, molti dei quali hanno superato il traguardo dei cinque anni e possono considerarsi guariti. Le iniziative organizzate tra il Valduce e l’associazione che presiedo: Erone onlus, hanno contribuito a modificare il comune sentire di questa malattia sul nostro territorio, grazie anche alla collaborazione con gli altri ospedali e i medici di medicina generale. Eppure molti cittadini con tumore, che abbiano sviluppato questa malattia anche a causa di uno stile di vita in adeguato o per cattive abitudini non hanno modificato il proprio comportamento e questo vale per entrambi i sessi. La medicina ha avuto un’impostazione maschile con interessi per la salute femminile correlati alla riproduzione. Nel 1991, sul New England Journal of Medicine, Bernardine Healy, usciva con l’editoriale: “The Yentl syndrome”, evidenziando l’approccio clinico-terapeutico discriminatorio tra i generi. Noi di Erone onlus crediamo nell’importanza della rete e nella centralità del cittadino. Ecco perché abbiamo pensato a un titolo provocatorio per il nostro prossimo convegno che si terrà il 20 marzo, all’auditorium del collegio Gallio: oncologia e territorio, il genere non fa la differenza.
Leggiamo troppo spesso notizie sui tumori nei diversi sessi: creano troppa confusione; vogliamo provare a mettere ordine perché come diceva Seneca: spesso nel giudicare una cosa ci lasciamo trascinare più dell’opinione che non dalla vera sostanza della cosa stessa.