Un ricoverato su dieci è senza terapia del dolore. Questo potrebbe essere la sintesi illustrata dalla Fondazione Gigi Ghirotti durante la presentazione dell'11° edizione della Giornata nazionale del sollievo che si è svolta il 27 maggio.
La Fondazione, sin dalla sua costituzione nel 1975, è impegnata oltre allo studio e terapia delle malattie neoplastiche del sangue, alla formazione di una coscienza civile sulla condizione dell'ammalato con particolare attenzione alle tematiche sul dolore. Il sollievo passa da condizione desiderabile, a possibile. Dal 2001 anno della prima giornata nazionale, la Fondazione ha concepito l'evento per “promuovere e testimoniare, attraverso idonea informazione e tramite iniziative di sensibilizzazione e solidarietà, la cultura del sollievo dalla sofferenza fisica e morale in favore di tutti coloro che stanno ultimando il loro percorso vitale, non potendo più giovarsi di cure destinate alla guarigione”.
Dopo tanti anni di campagne e a fronte di una maggiore consapevolezza della società civile che ha portato nel 2010 all'approvazione della legge 38, ancora molto resta da fare.
I risultati presentati in occasione dell'incontro sembrano confermare questa realtà. Il 62% dei pazienti in corsia dichiara di provare dolore durante il ricovero, ma l’11% di questi dichiara di non aver ricevuto alcuna terapia. La ricerca è stata condotta su un campione di 23.706 degenti in 14 regioni. «Lo studio è stato fatto – spiega Vito Ferri – attraverso la distribuzione di quelle che noi chiamiamo “schede di sensibilizzazione”, che contengono oltre alle domande relative alla nostra indagine anche e soprattutto informazioni importanti per il malato, come l’esistenza della legge 38 del 2010 che tutela e garantisce il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore». I risultati dimostrano una situazione migliore al passato ma ancora lontana da uno standard moderno. «Quell’11% che non ha ricevuto terapia del dolore corrisponde a 1.525 malati. Le ipotesi che si possono fare sono diverse: a queste persone potrebbe essere stata negata la terapia del dolore per malpractice, alcuni di questi pazienti pensavano che non ricevere la terapia del dolore fosse “normale” in ospedale, dove quello che conta sarebbe solo curare la patologia, oppure alcuni pazienti potrebbero ancora credere che sopportare il dolore fosse segno di coraggio, altri ancora potrebbero aver ricevuto le cure senza esserne stati informati».
L'incontro ha dimostrato che queste convinzioni errate, evidentemente non sono state ancora del tutto demolite. La presenza di un’adeguata informazione e comunicazione tra paziente e personale sanitario resta necessariamente un dibattito ancora aperto. In futuro bisognerà ripensare a un nuovo modo da parte del medico di accogliere le richieste del paziente in materia di dolore e da parte del paziente nel riuscire comunicare il proprio bisogno.